LIVORE SINISTRO

QUANTO LIVORE
LIBERO QUOTIDIANO
15 Ottobre 2022

Neanche il tempo di leggere il suo primo discorso da presidente della Camera che immediatamente Lorenzo Fontana viene subito attaccato e infangato. Il tutto per bocca di Alessandro Cecchi Paone a L’Aria che Tira sotto gli occhi di Myrta Merlino. Già da ieri sera con gli attacchi di Formigli e Floris a Piazza Pulita era partito su La7 il filo di fuoco sul vice-segretario della Lega.
E ora tocca a Cecchi Paone che sbotta in diretta e vomita odio sul nuovo presidente della Camera: “È uno dei peggiori nemici dell’approccio liberale al fatto che ognuno di noi può vivere la sua idea di famiglia, di amore e di sesso come vuole tutto l’Occidente. Lui si è sempre mosso su una linea cattolica-regressiva. È un intollerante”. La colpa di Fontana? Essere un cattolico e credere nei valori della famiglia.
Valori a quanto pare imperdonabili per chi strizza l’occhio a sinistra. Insomma il massacro contro il centrodestra prosegue. La campagna elettorale però è finita, ma a quanto pare a sinistra proseguono sul sentiero dell’odio gratuito sugli esponenti della maggioranza che a breve esprimerà il governo Meloni. I presidenti intoccabili sono solo quelli di sinistra: custodi dei veri valori concimati a odio verso l’avversario politico di turno.

RANZATA LA RONZULLI

Governo, Ranzata la Ronzulli

Maurizio Belpietro
La Verità

Se ottant’anni fa Francia e Germania non erano disposte a morire per Danzica, potete pensare che in Parlamento siano disposti a morire per Licia Ronzulli? Per di più in un momento in cui gli italiani – vedi i più recenti sondaggi – dimostrano di non essere disposti a morire per l’Ucraina?
Sì, ciò che è accaduto ieri al Senato ha un aspetto tragicomico che pare non tenere in alcun conto la situazione disperata in cui versano le famiglie e le imprese dopo il rincaro delle bollette. Non avere votato Ignazio La Russa ha dimostrato non solo l’irrilevanza politica dei voti di Forza Italia, ma anche l’insensibilità di alcuni suoi esponenti di fronte ai problemi che affliggono il Paese. Il centrodestra unito dovrebbe aver fretta di eleggere i presidenti delle Camere per poi presentarsi al cospetto del capo dello Stato e rivendicare la guida del governo.
E invece, da giorni a che cosa assistiamo? A un braccio di ferro, non per imporre le misure da adottare per far fronte alla crisi energetica e all’inflazione galoppante, ma per imporre una persona. Il Cavaliere, difendendo la scelta del suo partito di non partecipare al voto che ha portato alla nomina di un ex esponente del Popolo della libertà sullo scranno più alto di Palazzo Madama, ha sostenuto che fra alleati non ci possono essere veti. Una posizione che in linea di principio non può che essere condivisa.
Tuttavia, Berlusconi ha misurato sulla propria pelle che cosa significa il ricatto dei partiti minori nei confronti di quelli maggiori. Conosco abbastanza bene la storia di Forza Italia e dei governi guidati dal Cavaliere per ricordare quanta fatica egli fece per resistere alle pressioni di coloro che si erano candidati insieme a lui nella Casa delle libertà per poi trasformarsi in guastatori.
Penso al duplex Casini e Follini, il primo premiato con la presidenza della Camera e il secondo con una poltrona da vicepremier, e a Gianfranco Fini, ministro degli Esteri, numero due a Palazzo Chigi e infine anch’ egli presidente della Camera. I primi potevano contare sul 3 per cento dei voti, il secondo sul 12, ma pur non avendo numeri decisivi, dal 2001 al 2006 condizionarono l’azione di governo, bloccando provvedimenti e imponendo svolte.
Fu grazie a Follini se a metà legislatura Berlusconi dovette fare un rimpasto e fu grazie a Fini se a metà legislatura il Cavaliere fu spinto a licenziare Giulio Tremonti, salvo riprenderlo come ministro dell’Economia un anno dopo. Se ricordo il passato è per dire che il potere di ricatto non può diventare uno strumento con cui i partiti di minoranza della coalizione alzano la posta nei confronti di quello di maggioranza, sapendo che senza i loro voti i numeri per governare non ci sono.
Ieri al Senato abbiamo assistito a un brutto spettacolo, ovvero a un messaggio spedito a Giorgia Meloni per ricordarle che senza i voti di Forza Italia la futura presidente del Consiglio non potrà fare niente. La risposta è stata un voto trasversale, che comunque ha consentito l’elezione di La Russa, e il rinvio al mittente dell’avviso ai naviganti.
Non solo i voti di Forza Italia non si sono dimostrati determinanti, perché i «responsabili» – inventati anni fa da Berlusconi per sorreggere il governo senza più i voti di Fini – si annidano in ogni partito, ma quelli che un tempo chiamavano azzurri si sono abbassati a un gioco di potere che non fa bene alla storia politica di Berlusconi.
Se questo è l’antipasto di ciò che ci attende nei prossimi mesi, se cioè Forza Italia ha intenzione di trasformare il percorso dell’esecutivo che si appresta a nascere in una via crucis, meglio dirlo subito. Anzi, meglio sarebbe stato dirlo prima del 25 settembre, in modo che gli elettori avessero potuto regolarsi di conseguenza. Molti italiani hanno atteso per dieci anni che il centrodestra ritornasse a governare il Paese.
Nell’arco di due legislature hanno dovuto sopportare i governi di Mario Monti prima, perché lo chiedeva l’Europa, e poi di Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi perché lo chiedevano Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella e la solita Europa.
Ora che finalmente, dopo anni di governi tecnici e rossi, gli elettori hanno potuto dire la loro e decidere da chi farsi guidare sarebbe davvero il colmo che per un nome – perché come ha detto Berlusconi non è stato offerto «nessun ministero a Ronzulli» – l’esecutivo di centrodestra tanto atteso non si possa fare. Mi auguro che la battuta d’arresto di ieri sia stata frutto di incomprensione. Che il mancato voto a La Russa sia il risultato di un errore di valutazione e che già oggi se ne sia compreso il significato. Gli italiani hanno bisogno di un governo che li rappresenti e non della rappresentante di Forza Italia al governo.

OLGETTE E CAVALIERI

Licia Ronzulli, da infermiera a fedelissima del Cavaliere: le tappe di una scalata

di Adriana Logroscino
13 ottobre 2022

È stata definita cortigiana, pasdaran, vestale. Di certo Licia Ronzulli, 48 anni, prima della politica, fisioterapista e manager sanitaria, è la fedelissima di Silvio Berlusconi: sempre presente al suo fianco, da oltre un decennio, ammessa a ogni trattativa e nelle circostanze più private, con un ruolo di primo piano, perfino di organizzatrice, per il matrimonio-non matrimonio del Cavaliere con Marta Fascina alcuni mesi fa. Una fedeltà che travalica le categorie politiche e assume tratti da tifosa. Sue sono le definizioni di Berlusconi «Maradona della politica internazionale» e «Leone» che «ruggisce ancora».
Pur avendo origini remote al Sud, in Puglia – «mia nonna Isabella, poverissima e analfabeta fino alla sua morte, era di Margherita di Savoia», rivendica alcuni anni fa nel bel mezzo di una guerra a mezzo lettere pubbliche con il segretario regionale di Forza Italia — Ronzulli nasce a Milano e cresce a Monza da papà brigadiere dei Carabinieri. Prima di scalare la scena politica, è infermiera e fisioterapista all’Irccs Galeazzi di Milano. Studia e viene promossa a coordinatrice delle professioni sanitarie per la stessa struttura.
L’ambiente professionale è quello in cui incontra il suo compagno, dal quale si è poi separata: Renato Cerioli, imprenditore e manager sanitario, ex presidente di Confindustria Monza e Brianza, che sposa nel 2008 (con Berlusconi a fare da testimone) e dal quale ha una figlia. È nell’ambito della sua attività professionale che il suo destino potrebbe aver incrociato per la prima volta quello di Silvio Berlusconi. La scintilla politica, però, ha raccontato lei stessa, sarebbe scoccata in occasione di una iniziativa di Forza Italia, durante la quale Ronzulli sarebbe riuscita ad avvicinare Berlusconi e a ottenere da lui un impegno finanziario a favore di un’attività di volontariato per i bambini del Bangladesh, di cui si occupava da tempo.
La scalata ai palazzi del potere ha una falsa partenza alle elezioni politiche del 2008: candidata alla Camera, da Berlusconi, non viene eletta. Ci riprova l’anno dopo, alle Europee, e conquista il seggio nell’europarlamento: celebri le immagini con la figlia di pochi anni in braccio nell’aula di Strasburgo.
Eletta al Senato nel 2018 e confermata alle ultime elezioni, da allora è sempre vicinissima al Cavaliere, voce ascoltatissima, spesso in conflitto con altri uomini e soprattutto donne di Forza Italia. Tra loro sicuramente Mariastella Gelmini con la quale , quando è caduto il governo Draghi, a luglio scorso, avrebbe avuto uno scambio velenosissimo nei corridoi del Senato, captato da altri parlamentari: «Contenta di aver fatto cadere il governo?» la provocazione di Gelmini, che in seguito a quella decisione si preparava a lasciare FI per Azione di Calenda, «Vai a piangere da un’altra parte e prenditi uno Xanax», la replica di Ronzulli.

PER 57 MILIARDI DI DOLLARI IN PIÙ

Zelensky: “Ci servono 57 miliardi di dollari”
13 Ottobre 2022

“L’Ucraina ha bisogno di 57 miliardi di dollari per coprire il deficit di bilancio l’anno prossimo e per ricostruire infrastrutture cruciali ed energetiche” distrutte nella guerra con la Russia. Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, intervenendo in video collegamento alle riunioni di Fmi e Banca Mondiale. Zelensky ha anche chiesto un limite di credito di cinque miliardi per l’acquisto di gas e carbone.
“Sarebbe opportuno creare un gruppo di lavoro permanente che fornisca assistenza finanziaria all’Ucraina e che lavori in modo tempestivo a diversi livelli”, ha affermato il presidente.
Il formato dovrebbe essere modellato sul cosiddetto Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina, attraverso il quale vengono coordinate le forniture di armi per le forze armate ucraine in particolare. Nel formato che riguarda le finanze, i donatori internazionali e i singoli Paesi dovrebbero lavorare insieme, ha detto il presidente ucraino. (ADNKRONOS)

CHI MAL COMINCIA HA GIÀ SFASCIATO L’OPERA

Lollobrigida chiarisce la posizione di FDI sul conflitto

Pietro Di Martino
28 Settembre 2022

Tra gli ospiti di ieri sera a Fuori dal coro c’era il deputato di Fratelli d’Italia Francesco Lollobrigida. A proposito del conflitto tra Russia e Ucraina ha detto: “La guerra non l’abbiamo scatenata noi, c’è un popolo libero e democratico che è stato invaso dalla Russia senza una ragione”.
Lollobrigida ha ragione, l’Ucraina è stata invasa dalla Russia. Ma far finta che non ci sia alcuna ragione che abbia scatenato l’invasione, cancellando una guerra che si combatte dal 2014 (nel totale silenzio da parte della politica internazionale), appare quanto meno bizzarro.
Quando Mario Giordano gli ha fatto notare che “la pace si fa con i nemici non con gli amici”, il deputato ha risposto che la pace giusta è liberare una nazione occupata e che questo comporta dei rischi.
“Una guerra si affronta o armandosi aggredendo l’invasore – ha detto – oppure con sanzioni economiche che piegano l’economia russa come sta avvenendo”.
Il conduttore ha sottolineato che per arrivare a una pace giusta è necessario un compromesso. Poi ha aggiunto: “Se si dice di volere la pace solo alle condizioni dell’Ucraina la pace non ci sarà mai. A meno che non andiamo a bombardare Mosca”.
Lollobrigida è apparso irremovibile: “Io non so se qualcuno entrasse a casa sua, se lei cederebbe volentieri il soggiorno o la sala da pranzo per trovare un equilibrio in casa propria. Non si tratta di bombardare Mosca ma di respingere nei confini della Russia le forze di occupazione. O si sta con il diritto internazionale o si fa un altro tipo di scelta”.

Lollobrigida e Meloni come Draghi

Insomma la posizione di FDI è la stessa di Draghi. A confermarlo le recenti dichiarazioni di Giorgia Meloni che, rispondendo al tweet di Zelensky in cui si congratulava con lei per la vittoria alle ultime elezioni, gli ha detto di poter contare sul loro leale sostegno.

CI SIAMO MESSI IN GIOCO

(ANSA) – “Non ci sono se, ma o scuse da accampare. Abbiamo perso. Gli Italiani non hanno considerato abbastanza maturo e valido il nostro progetto politico. E su questo la nostra comunità dovrà aprire una riflessione”. Lo scrive su Facebook il ministro degli Esteri e leader di Impegno Civico, Luigi Di Maio, non rieletto.“Negli ultimi abbiamo deciso di metterci in gioco, di proporre agli italiani un progetto politico nuovo, da far conoscere in pochissimo tempo. Il risultato non è stato quello che ci aspettavamo. Impegno Civico non sarà in Parlamento. Allo stesso modo, non ci sarò neanche io. Stanotte mi sono congratulato con Sergio Costa”

UN SINGOLARE SUCCESSO


L’INCONSISTENZA DEL “SUCCESSO” DEL M5S (E DEL SUO LEADER)

Lu.Lea.

27 settembre 2022

Il Movimento 5 Stelle ha più che dimezzato i voti in percentuale passando dal 32,6 per cento del 2018 a circa il 15 per cento di domenica scorsa (vedendo forse ridursi di circa due terzi la sua rappresentanza parlamentare) ma il suo leader, Giuseppe Conte, ha osato parlare di “grande successo in conferenza. Ma quale successo? E questo solo perché i sondaggi due mesi fa lo davano sotto il 10 per centi (lui ha detto al 6 per cento per amplificare il suo ruolo personale nella virtuale “rimonta”).
Lo strano è che nessun giornalista glielo abbia fatto notare e che la gran parte dei commentatori non stiano annoverando – come dovrebbero in base ai dati reali – il M5S e lo stesso Conte tra i perdenti netti nelle votazioni di domenica.
La verità è che il M5S è riuscito solo a prolungare la sua agonia, giovandosi di una sorta di voto di scambio con gli strati meno attivi della società (soprattutto meridionale). Basterà che il nuovo governo elimini o riduca sostanzialmente il reddito di cittadinanza ed il superbonus del 110 per cento, perché riprenda l’ineluttabile decorso politicamente agonico del Movimento 5 Stelle e del suo inconsistente leader “virtuale”.