QUALE SCIENZA?


La Corte deve ascoltare la Costituzione, non “la scienza” (sbagliata)
“Abbiamo ascoltato la scienza”, rivendica la presidente Sciarra. Ma quale “scienza”? Il presupposto dell’obbligo si è rivelato, proprio sul piano scientifico, inconsistente

di Gianluca Spera
10 Dicembre 2022

Avevano destato stupore le reazioni trionfanti di alcuni quotidiani tra cui La Stampa che aveva titolato “Ha vinto la scienza”, dimenticando che la Consulta si occupa di compatibilità tra le norme e i principi costituzionali, non di farmacologia.

“Abbiamo ascoltato la scienza”

Peraltro, un’analisi più articolata di questa decisione potrà svilupparsi solo quando saranno rese note le motivazioni. Nel frattempo, tuttavia, il presidente della stessa Corte, Silvana Sciarra, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera in cui ha parlato anche di questa recente sentenza che ha scatenato un’animata discussione con inevitabili polemiche.

“Il filo conduttore delle nostre decisioni è stata la non irragionevolezza delle scelte adottate dal legislatore, sulla scorta dei risultati raggiunti dalla scienza”, questo è l’incipit della conversazione con Giovanni Bianconi. A cui si aggiunge un ulteriore passaggio nel corpo dell’intervista:

Da fuori si pensa subito a divisioni e contrasti, ma le camere di consiglio lunghe sono un segnale di approfondimento e condivisione, soprattutto su temi eticamente sensibili come quelli che coinvolgono l’autodeterminazione delle persone. Per arrivare a decisioni condivise ci vuole tempo, le argomentazioni saranno sviluppate in tre distinte sentenze. Per ora posso solo dire che la Corte ha ascoltato la scienza, come del resto è avvenuto più volte in passato, in tema di vaccinazioni e altro.

Presupposto scientifico inconsistente

Per quanto riguarda l’irragionevolezza di certe scelte governative, basterebbe citare le parole dell’ex premier Mario Draghi, quando assicurò che il Green Pass sarebbe stato la garanzia di ritrovarsi in aree sicure e protette dal contagio. Già allora, invece, si sapeva che pure chi era in regola con le dosi poteva contrarre la malattia e risultare veicolo del virus.
Ergo, si può discutere sullo scudo offerto dall’iniezione o dalle iniezioni ma sarebbe un argomento sganciato dal diritto perché il nodo gordiano della vicenda è che il presupposto su cui si è basata la rigida normazione del precedente esecutivo si è rivelato, scientificamente parlando, inconsistente.

Autodeterminazione azzerata

Quanto alle questioni etiche, proprio perché riguardano l’autodeterminazione degli individui, bisognerebbe privilegiare la libertà di scelta del singolo. Al contrario, sia attraverso l’obbligo diretto che a mezzo di quello surrettizio rappresentato dal Green Pass, il campo dell’autodeterminazione è stato notevolmente ridotto, fino a essere azzerato in alcuni casi.
È davvero compatibile una siffatta impostazione con i principi costituzionali vigenti? Peraltro, la Corte non solo ha ritenuto ragionevole la legislazione di epoca draghiana ma anche “non sproporzionata”, cioè reputando equo privare dello stipendio o escludere dalla vita sociale i renitenti alla puntura.

Comunità scientifica divisa

Per cui, appare quanto meno discutibile che una pronuncia di questo tipo possa essere stata fondata sui risultati raggiunti dalla scienza perché, in questo caso, bisognerebbe considerare che la stessa comunità scientifica non è affatto un consesso dogmatico simile a un Concistoro.
D’altronde, proprio perché stiamo parlando di un farmaco sviluppato in così poco tempo e somministrato in emergenza a gran parte della popolazione, non si è ancora consolidata una letteratura scientifica sul punto.
Anzi, crescono i dubbi e le voci dissenzienti (seppure censurate da gran parte della stampa nostrana) sul mancato rispetto del principio di precauzione, soprattutto per quanto riguarda la profilassi delle fasce più giovani della popolazioni per le quali il rapporto tra benefici e rischi pende dalla parte dei secondi. Tanto è vero che alcuni Paesi, come la Danimarca e la Svezia, hanno interrotto le somministrazioni ai minori.

La giurisprudenza della Corte

D’altronde, era stata proprio una famosa sentenza della Corte – la n. 5/2018 – a perimetrare i limiti dei trattamenti sanitari obbligatori stabilendo tre principi cardine:

1) l’interesse della collettività a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale; 2) la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili; 3) se nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio sia prevista comunque la corresponsione di una “equa indennità” in favore del danneggiato.

Scienza e giurisprudenza

Al di là del fatto che sulle reazioni avverse, da noi, vige la congiura del silenzio dei media mainstream con tanto di guardiani del pensiero unico in servizio permanente effettivo, sotto altro aspetto quello che sembra difettare è proprio l’interesse della collettività nel momento in cui i vaccini anti-Covid hanno dimostrato di non aver efficacia sterilizzante e quindi di non essere in grado di arrestare il contagio.
Ergo, volendo ricondurre il dibattito su un piano squisitamente giuridico, non convince questo richiamo generico alla scienza che, seppure ritenuto una linea guida dalla Corte, va in netto contrasto con una concezione liberale della società. Anche perché gli orientamenti giurisprudenziali non possono essere certo condizionati o indirizzati da quelli mutevoli e discordanti della variegata comunità scientifica.

PERSEVERARE AUTEM DIABOLICUM


I vaccini sono stati la nostra maggiore difesa. Hanno salvato migliaia e migliaia di vite, ridotto le sofferenze e consentito le riaperture. Sono stati realizzati e prodotti in un tempo così breve e in quantità così grandi come mai era accaduto nella storia. Anche questo è in larga misura merito della ricerca”…
È un dovere morale distribuire rapidamente i vaccini nei luoghi dove sono ancora insufficienti. Farlo è anche interesse concreto di tutti, per debellare completamente il virus, evitando che in un mondo sempre più strettamente connesso, si riproponga con pericolose varianti”…
La scienza è chiamata ancora ad intervenire… bisogna condurre la battaglia “contro l’antiscienza”, perché ci sono “nuclei che propagano l’antiscienza: è una sfida nei luoghi della modernità, occorre affrontarla e vincerla. ne va della prosecuzione di un percorso virtuoso”

19 novembre 2022
Sergio Mattarella

NEL PRINCIPIO ERA BURIONI

“Idrossiclorichina inutile e pericolosa: buttatela nel cesso”, Burioni stronca la Regione

Contrario all’uso contro il coronavirus anche l’Ordine dei medici

ALESSANDRO MONDO

8 Marzo 2021

«Piemontesi, sappiate che studi sterminati hanno stabilito non solo che per Covid 19 l’idrossiclorichina è inutile, ma che è anche pericolosa. Se qualche “medico” ve la prescrive, buttatela nel cesso e cambiate medico velocemente». La stroncatura è contenuta in un tweet del virologo Roberto Burioni e punta alla Regione. Meglio: al protocollo per le cure domiciliari di pazienti Covid (allegato al tw
eet demolitorio), aggiornato con l’inserimento dell’idrossiclorochina, uno dei cavalli di battaglia dell’assessore Icardi, nella fase precoce della malattia insieme a farmaci antinfiammatori non steroidei e vitamina D.

Il tutto sulla base di una controversa sentenza del Consiglio di Stato: ha consentito la prescrizione della idrossiclorichina sotto precisa responsabilità e dietro stretto controllo del medico. Peccato che il farmaco in questione sia stato messo in discussione sia dall’Aifa che dall’Oms perchè inutile: nel migliore dei casi.

L’Ordine dei Medici di Torino, richiesto di pronunciarsi, ha dato parere negativo al suo impiego. Dai e dai, alla fine ha chiesto che le riserve di cui sopra venissero almeno riportate nel protocollo. Immaginate la situazione in cui si trovano i medici chiamati a prescrivere l’idrossiclorichina, sotto la loro responsabilità.

🤗 MA POICHÉ LA VERITÀ È LENTA MA INESORABILE…

Altro che «tachipirina e vigile attesa», il Covid andava curato con gli antinfiammatori

Bastava utilizzare aspirina o nimesulide. L’istituto Mario Negri pubblica su Lancet: «I fans riducono le ospedalizzazioni del 90%». E anche se molti medici lo avevano già capito, per il ministero della Salute l’unica soluzione era il vaccino

PICKLINE
28 AGOSTO 2022

Dopo due anni e mezzo di pandemia e 175mila morti all’improvviso si scopre che le cure domiciliari contro il Covid funzionano. Finalmente si riconosce che l’infezione da coronavirus si può curare e che il vaccino non è l’unica soluzione. A dirlo è l’istituto Mario Negri di Milano, uno dei migliori centri di ricerca farmacologica del Paese, che dopo aver analizzato i risultati ottenuti su centinaia di pazienti, ha pubblicato su Lancet i risultati dello studio. In pratica, usando i fans, cioè farmaci come Brufen, Aspirina o Nimesulide, pillole di comune uso contro dolori e infiammazioni, l’ospedalizzazione dei pazienti si riduce dell’85-90%.

«Gli antinfiammatori sono totalmente inefficaci nella cura del Covid-19 e anzi sono potenzialmente pericolosi per cui ne va impedito l’uso», sentenziava il 16 marzo 2020 Claudio Cricelli, presidente della Simg, la Società italiana di medicina generale. In piena pandemia Covid-19, su La Repubblica il medico fu perentorio: «In tutti i casi in cui i medici sospettano un’infezione da Covid, le nostre linee guida dicono che non bisogna usare gli antinfiammatori e tanto meno il cortisone». Oggi uno studio italiano dimostra il contrario.

Dopo aver esaminato importanti studi scientifici a livello internazionale, gli autori dell’Istituto Mario Negri di Milano e dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, concludono che la terapia precoce con gli antinfiammatori ha un «ruolo cruciale» per la gestione domiciliare delle persone con sintomi iniziali di Covid-19. Abbattono i ricoveri del 90%, i tempi di scomparsa dei sintomi dell’80%. Questi farmaci, insomma, giocano un ruolo fondamentale nella lotta al Covid. Peccato però che tutto questo si sapesse già. A marzo 2020 il dottor Andrea Mangiagalli, come raccontato a La Verità, ha curato con successo la moglie colpita dal virus attraverso antinfiammatori. Un anno fa la conferma era arrivata la professor Giuseppe Remuzzi: «Il nostro trattamento con antinfiammatori riduce le ospedalizzazioni del 90%», aveva dichiarato in un’intervista il direttore dell’Istituto Mario Negri, illustrando il protocollo di cura messo a punto con i colleghi. Parole cadute puntualmente nel vuoto.

Bastava utilizzare aspirina, oppure celecoxib e nimesulide. Ma per mesi e mesi, l’Italia si è affidata alle famigerate linee guida per le cure domiciliari dettate dal ministero della Salute guidato da Roberto Speranza. Uscite dieci mesi dopo l’inizio della pandemia e basate per lungo tempo su «tachipirina e vigile attesa», mentre si moltiplicavano le ondate dei contagi, crescevano i ricoveri e il numero dei morti. La medicina del territorio avrebbe potuto funzionare, se si fosse intervenuto nelle primissime fasi della malattia con antinfiammatori e corticosteroidi per prevenire l’aggravarsi delle condizioni di salute del paziente ed evitare il collasso di reparti e terapie intensive.

In quei mesi di vigile attesa, i morti per Covid passarono da 55.576 a 119.539. Forse, quei 63.963 pazienti che si aggiunsero all’elenco delle vittime potevano essere salvati con trattamenti immediati. E quanti dei 175.226 decessi che a oggi contiamo, non erano per malattia grave, ma perché non vennero applicati da subito protocolli efficaci? Il lavoro pubblicato dagli esperti dell’Istituto Negri ribadisce «raccomandazioni terapeutiche» che molti medici misero in atto, salvando pazienti ma finendo sospesi dagli Ordini per aver curato seguendo la letteratura scientifica, non linee guida ministeriali inadeguate. Esortano a «intervenire all’esordio dei sintomi a casa», a «iniziare la terapia il prima possibile» e a «fare affidamento sui fans».