AVANTI CON DRAGHI!


Di Maio: “Agenda Draghi deve andare avanti. Noi con Gelmini e Brunetta? Prematuro, di certo mai con Lega, M5s e chi ha fatto cadere esecutivo”

di Alberto Sofia | 21 LUGLIO 2022

“L’agenda riformatrice di Mario Draghi non può cadere nella polvere, non può scomparire, ci saranno tante persone di buona volontà che nei prossimi anni continueranno a portarla avanti”. A rivendicarlo, nel giorno delle dimissioni del presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, parlando con i giornalisti fuori da Montecitorio. Non senza attaccare M5s e Lega: “Quando Giuseppe Conte e Matteo Salvini andranno a dire in campagna elettorale che vogliono affrontare il caro benzina, il caro energia, il caro bollette ditegli che hanno buttato giù quel governo che stava facendo il decreto”. E ancora: “Far cadere il governo Draghi è stato solo il primo atto di un percorso che vede uniti Conte e Salvini nel cercare di portare l’Italia fuori dalle alleanze storiche, di destabilizzarla da un punto di vista economico. L’Italia aveva una chiara posizione internazionale che collocava l’Italia con i suoi alleati storici. E non è un caso che questo governo sia stato buttato giù da due forze politiche che strizzano l’occhiolino a Vladimir Putin”. Ma con chi andrà al voto Ipf? “Se siamo pronti a discutere con Mariastella Gelmini e Renato Brunetta e chi lascerà Forza Italia? Prematuro, ma di certo sicuramente non vado con quelli che hanno fatto cadere questo governo, che hanno deciso di stare dalla parte degli estremismi e dei sovranismi. E mi auguro si possa essere in tanti dalla parte dell’agenda riformatrice di Mario Draghi”.

APOLOGIA DEL POTERE INCONTROLLATO


DRAGHI DITTATORE? UNA BELLA IDEA

dal Blog di Nicola Porro

Eccallà, ci mancava solo la dichiarazione senza vergogna in diretta nazionale. Che barba la democrazia. Che barba i partiti che cercano di influenzare il governo. Che schifo i leader che si mettono di traverso sul trionfale cammino di sua santità Mario Draghi. Molto meglio una dittatura, in cui a decidere tutto è Supermario e gli altri si adeguano. Fino ad oggi eravamo quasi certi che molti democraticissimi intellettuali lo sussurrassero solo nei salotti buoni tra una tartina al caviale e l’altra, senza però esporre al grande pubblico la loro preferenza per una dittatura illuminata del premier Draghi. Ora invece Umberto Galimberti ha rotto il velo d’ipocrisia (e di questo occorre almeno dargli merito) ed è arrivato a confessare in diretta tv il disprezzo per i meccanismi della democrazia.
In studio a In Onda si stava discutendo delle incomprensibili norme prodotte dal governo per “arginare” l’avanzata di Omicron. Riuscire a districarsi tra green pass, super green pass, tre tipologie di quarantene, contatti stretti o laschi, prima seconda o terza dose, è oggettivamente impossibile. Di chi è la colpa? Di Speranza, in teoria titolato a gestire la situazione sanitaria? Di Draghi, che guida questo governo “dei migliori”? No, ovviamente. Per Galimberti sono i partiti ad aver creato confusione. “La complicazione – ha detto – nasce dal fatto dal fatto che abbiamo un governo fatto di partiti che si detestano e il povero Draghi ha iniziato a fare delle mediazioni che moltiplicano le diversità dei casi all’interno dei quali si deve intervenire”.
Hai capito che orrore? I partiti cercano di interpretare le istanze degli italiani? Non sia mai: è lesa maestà. Dovrebbero starsene zitti e lustrare le scarpe al premier-padrone. “Se è vero che abbiamo un governo di salute pubblica – ha insistito Galimberti – se è vero che siamo in epoca di emergenza, non si può considerare Draghi una sorta di… non dico la parola dittatore, ma quasi? Che decida lui a prescindere dalle bandierine dei vari partiti che vogliono difendere questa o quell’altra categoria, allentando la difesa nei confronti di questo virus”.
In studio avrebbero dovuto indignarsi per quanto detto dal professorone. Non l’hanno fatto come non lo fecero con Monti quanto chiese una “informazione meno democratica”, ma almeno stavolta si sono degnati di chiedere una precisazione. “Emergenza cosa vuol dire? – ha spiegato Galimberti – Che tutto va avanti come prima o c’è uno che decide? Questo voglio capire. Se siamo in emergenza fino a marzo, ci vorrà uno che decide. Io di Draghi mi fido, penso che non sia un pazzo, penso abbia le capacità per governare questa situazione, quindi lasciamo decidere a lui a prescindere dai pareri discordanti di tutti gli altri partiti. Questo significa emergenza”.
A dire il vero, questo significa “dittatura”. E in teoria sarebbe una cosuccia contraria alla Costituzione. Ma ormai tra Monti che vuole “dosare dall’alto l’informazione” e Galimberti che sogna di incoronare Draghi imperatore, abbiamo capito una cosa: che in nome della presunta “emergenza”, ormai prolungata da tempo immemore, si sta facendo strada l’ipotesi che si possa instaurare davvero l’uomo solo al comando. Senza che nessuno osi alzare il ditino. E pensare che i cronisti radical chic si stracciarono le vesti quando Salvini chiese agli elettori (ripeto: agli elettori!) i “pieni poteri” attraverso le urne. Che fine hanno fatto? Ah sì, lo sappiamo. Sono lì, in piedi, ad applaudire l’ingresso in sala stampa di suo splendore Draghi.

ME NE VADO, ANZI RESTO. Come rinunciare per ottenere tutto.


Le dimissioni di Draghi. Washington e Bruxelles hanno già votato per farlo restare
(Giulia Burgazzi)

Non se ne va mica tanto facilmente. Il Presidente della Repubblica ha respinto giovedì le dimissioni di Draghi e l’ha rispedito davanti al Parlamento, dove pure lo stesso Draghi aveva appena ottenuto il voto di fiducia: ma non con la maggioranza plebiscitaria che egli vorrebbe.

Tuttavia, se Draghi ha bisogno di altri voti per mettere lo scranno al riparo dallo scarso gradimento degli italiani (nei sondaggi ha avuto un crollo del 12% ed è al ora 48%), dovrebbe ben sapere che Washington e Bruxelles hanno già votato per lui.

Per questo, fra gli scenari possibili, c’è anche quello in cui il capo del governo è per qualche tempo un altro, magari Giuliano Amato, ma la crisi economica ed il tumultuoso, ulteriore deterioramento del tenore di vita legati all’ormai certa mancanza di gas fanno sì che venga richiamato in sella colui che alcuni chiamano il Migliore. In questo caso, visto quel che è accaduto finora, Draghi non potrebbe che peggiorare ulteriormente le cose: ma almeno lo farebbe con unità nazionale, senza tumulti e senza opposizione.

Draghi si è dimesso perché ieri, giovedì, il M5S è uscito dall’aula del Senato al momento di votare la fiducia sul cosiddetto decreto Aiuti. Draghi ha comunque ampiamente ottenuto la fiducia stessa. Alla Camera, dove le procedure sono diverse, il M5S la settimana scorsa ha votato la fiducia ma è uscito dall’aula per il decreto Aiuti.

Un capo del Governo che si dimetta subito dopo aver ottenuto il voto di fiducia del Parlamento, non lo si era ancora visto. Eppure è accaduto ieri. Draghi non vuole avere un’opposizione che non sia (come ora) numericamente residuale.

Dunque mercoledì 20 Draghi si presenterà al Parlamento per fare la conta di chi lo vuole e di chi non lo vuole. Per l’occasione, il M5S potrebbe anche rimangiarsi i maldipancia che l’hanno indotto ad effettuare il modesto distinguo sul decreto Aiuti: del resto, il M5S non ha mai dato apertamente voto contrario. E’ teoricamente possibile, ma improbabile, che Draghi accetti di continuare a governare senza il M5S. L’altra ipotesi è l’apertura della crisi di governo.

Però una cosa è chiara: ai piani altissimi – non si ratta dei piani alti nazionali – vogliono che Draghi resti. Repubblica ha raccolto  altolocate dichiarazioni provenienti da Washington secondo le quali per gli USA la guida di Draghi è determinante, nientepopodimeno. Parallelamente a Bruxelles la Commissione Europea ha seguito “con preoccupato sconcerto” le vicende italiane e il commissario UE italiano, Paolo Gentiloni, ha auspicato apertamente che “la leadership di Draghi continui”.

E dunque, anche se tutto può succedere, non è detto che Draghi se ne vada. E se anche se ne andrà, è verosimile che torni a galla.

 

 

 

 

IL TORO, IL MATTA D’OR E IL SANCULOTTO


Crisi di governo, per Draghi dimissioni irrevocabili: mercoledì il giorno della verità.

15 luglio 2022 (Andrea Bonini)

Il premier al momento sembra fermo alle parole con cui ha anticipato le dimissioni. Escludendo addirittura che alle sue comunicazioni faccia seguito un voto.

Cinque giorni di tempo per convincere Draghi a desistere dalle dimissioni. La chiave di volta sta qui.  Far decantare la situazione e provare a superare la determinazione del premier a lasciare. Le parole pronunciate davanti ai suoi ministri, le ha ripetute anche a Mattarella. Per lui quanto accaduto in Parlamento non è un fatto su cui si possa sorvolare. E poi quel fendente sulla fiducia che è venuta meno, come dire impossibile – anche volendo – proseguire questo rapporto. Per Draghi è una questione di coerenza e responsabilità. Il governo di unità nazionale non è come tutti gli altri, non si può fare e disfare e neppure negoziare. La scommessa dei partiti è quella di dimostrare che nonostante tutto c’è una maggioranza a suo sostegno pronta a ricompattarsi, a una maggioranza, che in questo gioco assurdo della politica, sulla carta non è mai mancata, motivo per cui dal Colle si è ribadita la necessità di una valutazione parlamentare.  Draghi al momento sembra fermo alle parole con cui ha anticipato le dimissioni. Escludendo addirittura che alle sue comunicazioni faccia seguito un voto. Parlerà, spiegherà di nuovo le sue ragioni, poi ancora al Colle per confermare il passo indietro. Ma 5 giorni sono un tempo lunghissimo. Senza considerare le pressioni che potranno arrivare anche da fuori. La scommessa di far cambiare idea a Draghi, passa anche da qui.