CON LE BUONE O CON LE CATTIVE


Il probabile nuovo Ministro che vuole Fratelli d’Italia: “vaccinatevi con le buone o lo faremo con le cattive!”

Eventi Avversi
19 ottobre 2022

Eletto il 25 settembre in Veneto con Fratelli d’Italia, l’ex magistrato Carlo Nordio, che i vertici di Fratelli d’Italia vorrebbero Ministro della Giustizia, è intervenuto pochi mesi fa, lo scorso 8 gennaio 2022, sul tema vaccini, con un editoriale su Il Messaggero dal titolo “Chiarezza necessaria – L’obbligo di vaccino spiegato ai No vax “.
Scrive Nordio: “Durante lo sbarco in Normandia, ai ragazzi inchiodati sulla spiaggia di Omaha dalle mitragliatrici tedesche il generale Norman Cota urlò: «Qui ci sono solo due categorie di soldati: quelli che sono morti e quelli che moriranno. Quindi alziamo il sedere e andiamo avanti!». Nei momenti cruciali, la comunicazione dev’essere chiara, motivata e convincente.
Per questo, una volta dimostrata la contagiosità di Omicron, il nostro governo avrebbe dovuto imitare il roccioso comandante americano e ammonire così i dieci milioni di italiani non ancora vaccinati: «Tra voi la distinzione è semplice: quelli che sono contagiati e quelli che si contageranno. Quindi vaccinatevi con le buone, o lo faremo con le cattive». Mancato il “Warning” è mancato il “Let’s go!” E i risultati si son visti: tre giorni fa cinquantamila positivi; l’altroieri centomila, ieri il doppio. E domani forse un milione. Con questa prospettiva, il Governo ha introdotto l’obbligo, sia pur limitato agli ultracinquantenni. Un provvedimento estremo e coraggioso, che tuttavia non è stato accompagnato da una comunicazione rapida e adeguata. Forse avrebbe convinto solo chi era già convinto. Ma almeno avrebbe eliminato alcuni dubbi ed evitato pretestuose obiezioni.
Quella principale è che l’obbligo viola i princìpi di libertà garantiti dalla Costituzione. Al che si risponde che proprio l’art. 32 della Carta prevede il trattamento sanitario obbligatorio, purché, chiarisce la Giurisprudenza, sia ragionevole, proporzionato e temporaneo. Ma la risposta non è del tutto soddisfacente: o meglio, lo è nella forma, ma non nella sostanza. Anche perché la recente legge sul testamento biologico ha ribadito il diritto a rifiutare le cure sia nel presente che nel futuro, se intervenisse l’incapacità dell’avente diritto. Insomma la cornice normativa è assai complessa, e dev’essere integrata con il quadro della situazione concreta. E questo quadro dev’essere guardato alla luce dello stesso art. 32, che definisce la salute non solo come fondamentale diritto dell’individuo ma anche come «interesse della collettività».
Interpretata alla lettera, questa norma sarebbe nulla più che una suggestione enfatica, e una vuota aspirazione metafisica: come dire che ognuno ha diritto all’amore o alla felicità. Se vogliamo invece intenderla per quello che vale (potius ut valeat quam pereat, direbbero i giuristi) essa significa due cose: in primo luogo il diritto alla cura; e poi il dovere dello Stato di fare il possibile per rimuovere gli elementi che danneggiano la salute. Lo Stato non può garantire che i nostri polmoni restino trasparenti e l’intestino integro, ma deve attivarsi per evitare, o ridurre al minimo l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e dei cibi. Naturalmente la gente si ammalerà lo stesso, e nessuno ha la pretesa di restare, su questa terra, immortale. Ma almeno lo Stato avrà fatto il possibile.
Tuttavia anche questa interpretazione si presta a un’obiezione: che molte malattie non dipendono dal caso, ma dalla nostra condotta sregolata. Gli ospedali sono pieni di enfisematosi che hanno troppo fumato, di cirrotici che hanno troppo bevuto, di diabetici che hanno troppo mangiato. Non solo. I reparti ortopedici sono occupati principalmente da vittime di incidenti cagionati dalla propria imprudenza, automobilisti disattenti, sciatori spericolati ecc. Perché allora – dicono gli irriducibili – dovremmo sottoporci al vaccino per evitare di intasare le corsie , quando queste sono occupate in gran parte da persone che se la sono, per così dire, cercata? E’ un’obiezione alla quale non si può rispondere in termini etici o sociologici, perché le repliche sarebbero infinite. Si può rispondere soltanto in termini statistici di utilità generale.
E’ verissimo che il sistema sanitario è gravato di spese che dipendono in gran parte dalla nostra condotta irregolare e persino insensata. Se tutti si astenessero dal fumo, dall’alcol, dai grassi, dagli zuccheri e da altri tipi di intemperanze, vivendo all’aria aperta in una prudente solitudine anacoretica camperemmo di più e ci ammaleremmo di meno. Gli unici a lamentarsi sarebbero i produttori di medicinali e soprattutto l’Inps, costretto a pagare pensioni a miriadi di ultranovantenni. Ma è altrettanto vero che, proprio perché non viviamo nella quiete bucolica di un paradiso perduto, e forse noioso, il sistema sanitario nazionale è progettato, o come si dice, tarato, in funzione del numero previsto di queste morbilità. In altre parole ogni Paese sapeva e sa , con buona approssimazione, quante persone si sarebbero ammalate nel presente e si ammaleranno nel prossimo futuro. Ed è sulla scorta di questi calcoli che ha eretto le sue strutture, e fino ad ora le ha fatte funzionare.
Ma il Covid ha rovesciato il tavolo, con una serie di varianti che gettano ombre sinistre sulla sostenibilità del sistema. Se con Omicron si contagiassero quei dieci milioni di individui non vaccinati, e se finisse in ospedale anche l’un per cento di loro, i centomila nuovi degenti renderebbero impossibili le cure al resto degli italiani, compresi quelli ammalatisi non per colpa propria ma per semplici cause naturali. Ed è qui che interviene l’art. 32 della Costituzione: definendo la salute «interesse della collettività» essa non si limita a salvaguardare l’integrità del singolo, ma impone di evitare un incremento di ricoveri che comprometterebbe il diritto alla cura dell’intera popolazione. L’obbligo del vaccino non ha , e non deve avere, nessun connotato etico e nemmeno solidaristico. É semplicemente lo strumento costituzionale per garantire l’interesse della collettività.
Concludo da dove avevo iniziato. A Omaha beach il generale Cota non ha letto pomposi proclami evocando Dio, Patria e Famiglia, concetti sacrosanti, ma in quel momento inidonei. Ha detto solo le cose come stavano, e in modo tale da farsi capire. Se i suoi ragazzi non lo avessero ascoltato l’invasione sarebbe fallita, e la guerra avrebbe avuto un corso disastroso. Per fortuna lo hanno seguito spontaneamente e la battaglia è stata vinta. Forse da noi è troppo pretendere che i No vax vengano convinti con le buone. Ma proprio per questo è necessario che il governo spieghi bene perché ha dovuto usare le cattive”.

RANZATA LA RONZULLI

Governo, Ranzata la Ronzulli

Maurizio Belpietro
La Verità

Se ottant’anni fa Francia e Germania non erano disposte a morire per Danzica, potete pensare che in Parlamento siano disposti a morire per Licia Ronzulli? Per di più in un momento in cui gli italiani – vedi i più recenti sondaggi – dimostrano di non essere disposti a morire per l’Ucraina?
Sì, ciò che è accaduto ieri al Senato ha un aspetto tragicomico che pare non tenere in alcun conto la situazione disperata in cui versano le famiglie e le imprese dopo il rincaro delle bollette. Non avere votato Ignazio La Russa ha dimostrato non solo l’irrilevanza politica dei voti di Forza Italia, ma anche l’insensibilità di alcuni suoi esponenti di fronte ai problemi che affliggono il Paese. Il centrodestra unito dovrebbe aver fretta di eleggere i presidenti delle Camere per poi presentarsi al cospetto del capo dello Stato e rivendicare la guida del governo.
E invece, da giorni a che cosa assistiamo? A un braccio di ferro, non per imporre le misure da adottare per far fronte alla crisi energetica e all’inflazione galoppante, ma per imporre una persona. Il Cavaliere, difendendo la scelta del suo partito di non partecipare al voto che ha portato alla nomina di un ex esponente del Popolo della libertà sullo scranno più alto di Palazzo Madama, ha sostenuto che fra alleati non ci possono essere veti. Una posizione che in linea di principio non può che essere condivisa.
Tuttavia, Berlusconi ha misurato sulla propria pelle che cosa significa il ricatto dei partiti minori nei confronti di quelli maggiori. Conosco abbastanza bene la storia di Forza Italia e dei governi guidati dal Cavaliere per ricordare quanta fatica egli fece per resistere alle pressioni di coloro che si erano candidati insieme a lui nella Casa delle libertà per poi trasformarsi in guastatori.
Penso al duplex Casini e Follini, il primo premiato con la presidenza della Camera e il secondo con una poltrona da vicepremier, e a Gianfranco Fini, ministro degli Esteri, numero due a Palazzo Chigi e infine anch’ egli presidente della Camera. I primi potevano contare sul 3 per cento dei voti, il secondo sul 12, ma pur non avendo numeri decisivi, dal 2001 al 2006 condizionarono l’azione di governo, bloccando provvedimenti e imponendo svolte.
Fu grazie a Follini se a metà legislatura Berlusconi dovette fare un rimpasto e fu grazie a Fini se a metà legislatura il Cavaliere fu spinto a licenziare Giulio Tremonti, salvo riprenderlo come ministro dell’Economia un anno dopo. Se ricordo il passato è per dire che il potere di ricatto non può diventare uno strumento con cui i partiti di minoranza della coalizione alzano la posta nei confronti di quello di maggioranza, sapendo che senza i loro voti i numeri per governare non ci sono.
Ieri al Senato abbiamo assistito a un brutto spettacolo, ovvero a un messaggio spedito a Giorgia Meloni per ricordarle che senza i voti di Forza Italia la futura presidente del Consiglio non potrà fare niente. La risposta è stata un voto trasversale, che comunque ha consentito l’elezione di La Russa, e il rinvio al mittente dell’avviso ai naviganti.
Non solo i voti di Forza Italia non si sono dimostrati determinanti, perché i «responsabili» – inventati anni fa da Berlusconi per sorreggere il governo senza più i voti di Fini – si annidano in ogni partito, ma quelli che un tempo chiamavano azzurri si sono abbassati a un gioco di potere che non fa bene alla storia politica di Berlusconi.
Se questo è l’antipasto di ciò che ci attende nei prossimi mesi, se cioè Forza Italia ha intenzione di trasformare il percorso dell’esecutivo che si appresta a nascere in una via crucis, meglio dirlo subito. Anzi, meglio sarebbe stato dirlo prima del 25 settembre, in modo che gli elettori avessero potuto regolarsi di conseguenza. Molti italiani hanno atteso per dieci anni che il centrodestra ritornasse a governare il Paese.
Nell’arco di due legislature hanno dovuto sopportare i governi di Mario Monti prima, perché lo chiedeva l’Europa, e poi di Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi perché lo chiedevano Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella e la solita Europa.
Ora che finalmente, dopo anni di governi tecnici e rossi, gli elettori hanno potuto dire la loro e decidere da chi farsi guidare sarebbe davvero il colmo che per un nome – perché come ha detto Berlusconi non è stato offerto «nessun ministero a Ronzulli» – l’esecutivo di centrodestra tanto atteso non si possa fare. Mi auguro che la battuta d’arresto di ieri sia stata frutto di incomprensione. Che il mancato voto a La Russa sia il risultato di un errore di valutazione e che già oggi se ne sia compreso il significato. Gli italiani hanno bisogno di un governo che li rappresenti e non della rappresentante di Forza Italia al governo.